‘Pandemonium’ di Vinicio Capossela a Città di Castello

Il nuovo progetto del noto cantautore, in scena venerdì 18 settembre alle ore 21 in Piazza dell'Archeologia, ultimo evento collaterale della 53esima edizione del Festival delle Nazioni

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Vinicio Capossela, in concerto per il 53esimo Festival delle Nazioni con 'Pandemonium'

CITTA’ DI CASTELLO- Pandemonium, l’ultimo progetto di Vinicio Capossela torna ancora a fare tappa in Umbria. Il nuovo appuntamento con il noto cantautore, è in programma venerdì 18 settembre a Città di Castello con inizio alle ore 21 in Piazza dell’Archeologia, ultimo degli eventi collaterali della 53esima edizione del Festival delle Nazioni.

Pandemonium. Narrazioni, piano voce e strumenti pandemoniali, è il nuovo viaggio che il geniale cantautore, ri-trovatore, immaginatore, propone in tour questa estate affiancato sul palco in trio con Vincenzo Vasi a theremin, vibrafono, percussioni e altre diavolerie e Andrea Lamacchia al contrabbasso.

“Il demone a cui mi riferisco in questo Pandemoium -spiega Vinicio Capossela- è il dáimōn dei greci. L’essenza dell’anima imprigionata dal corpo che è il tramite tra umano e divino. Il destino legato all’indole, e quindi al carattere. Pan Daimon, tutti i demoni che fanno la complessità della nostra natura, tutte le stanze di cui è composto il bordello del nostro cuore. (Pan e Daimon, tutti insieme). Il Pandemonium, è la somma delle nature nelle loro contraddizioni. Per esempio, ambire all’unione e allo stesso tempo coltivare la clandestinità, avere tensione alla spiritualità e dissiparsi nella carne, ambire all’unità e andare in mille pezzi. Un luogo in cui tutte le nature del nostro carattere hanno voce per esprimersi. Nature che generano cacofonia, il pan panico, la confusione del tutto quanto, l’entropia incessante che ci fa continuamente procedere e separare. Tutti i dáimōn, come in un vaso di pandora liberati nell’isolamento e nell’insicurezza che ci ha colti nella pandemia. Nuove e antiche pestilenze. Ma allo stesso tempo il dáimōn è l’angelo, l’entità che fa da ponte col divino. Perché un po’ di divino nell’uomo c’è, pure se impastato col fango e il dáimōn lo rimesta e solleva. Che musica fa il Pandemonium? Ho sentito parlare di questo enorme strumento -prosegue il cantautore- un grande organo fatto di metalli estratti dalle viscere della terra, dalle creature intraterrestri, i nani che battono e forgiano nelle cavità ctonie, il cui rimbombo ci raggiunge col brontolare del tuono, e provoca il frastuono. Il disordine continua il suo lavoro, fino nelle fibre dell’invisibile e ci modifica incessantemente. Noi cerchiamo di mettere un po’ di ordine, salvare qualche emozione pura, forgiandola in canzone e suonandola in solitudine. Una solitudine amplificata. Ci sono sì dei compagni: un rumorista intra-terrestre, Vincenzo Vasi, ma è lì per fare sentire la mancanza dell’orchestra, non per colmarla. Funge da amplificatore di echi nella solitudine della pancia della balena, durante l’eclissi. Amplifica le sue volte, le sue caverne e i suoi strati. Batte i metalli delle piastre del vibrafono e li fa espandere, come la goccia provoca cerchi quando cade. Suona le voci fantasma nascoste nel theremin e rigenera i suoni del mondo. Sarà con noi eccezionalmente a Città di Castello -conclude Capossela- un altro grande compagno di viaggio: Andrea Lamacchia con il suo inseparabile contrabbasso. E poi c’è l’intimità del colloquio, così come è avvenuto nella distanza. La narrazione che svela le storie e gli scheletri negli armadi delle canzoni. Un repertorio scelto di volta in volta nei cunicoli scavati in trent’anni di canzoni. Questa è l’intimità che si propone il nostro incontro pandemoniale in musica nell’estate dei ruggenti anni Venti, Venti”.

 

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