
ROMA – Anticipando i contenuti del Decreto del presidente del Consiglio dei ministri che disciplina la “fase 2” dell’emergenza Covid-19 a partire dal 4 maggio, il premier Giuseppe Conte ha sottolineato come il comitato tecnico-scientifico che affianca il Governo in questo momento di emergenza sanitaria abbia espresso forti contrarietà nei confronti della ripresa delle celebrazioni liturgiche con la presenza dei fedeli.
Dcpm su luoghi di culto e celebrazioni
Il testo del Dpcm – secondo le anticipazioni – prevederebbe testualmente che “l’apertura dei luoghi di culto è condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro. Sono sospese le cerimonie civili e religiose; sono consentite le cerimonie funebri con l’esclusiva partecipazione di parenti di primo e secondo grado e, comunque, fino a un massimo di quindici persone, con funzione da svolgersi preferibilmente all’aperto, indossando mascherine protettive e rispettando rigorosamente le misure di distanziamento sociale”.
Il disaccordo dei Vescovi
Poco dopo la conclusione della conferenza stampa del presidente del Consiglio, Conte, la Conferenza episcopale italiana (Cei) ha diramato la nota seguente, con la quale prende una posizione netta e critica sulle decisioni del Governo per le celebrazioni religiose nella “fase 2”, che inizia dal 4 maggio.
“Sono allo studio del Governo nuove misure per consentire il più ampio esercizio della libertà di culto”. Le parole del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, nell’intervista rilasciata lo scorso giovedì 23 aprile ad Avvenire arrivavano dopo un’interlocuzione continua e disponibile tra la Segreteria generale della Cei, il Ministero e la stessa Presidenza del Consiglio.
Un’interlocuzione nella quale la Chiesa ha accettato, con sofferenza e senso di responsabilità, le limitazioni governative assunte per far fronte all’emergenza sanitaria. Un’interlocuzione nel corso della quale più volte si è sottolineato in maniera esplicita che – nel momento in cui vengano ridotte le limitazioni assunte per far fronte alla pandemia – la Chiesa esige di poter riprendere la sua azione pastorale.
Ora, dopo queste settimane di negoziato che hanno visto la Cei presentare Orientamenti e Protocolli con cui affrontare una fase transitoria nel pieno rispetto di tutte le norme sanitarie, il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri varato questa sera esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo.
Alla Presidenza del Consiglio e al Comitato tecnico-scientifico si richiama il dovere di distinguere tra la loro responsabilità – dare indicazioni precise di carattere sanitario – e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia.
I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale.
La replica del premier Conte
Poco dopo è arrivata la dichiarazione di replica del premier. “La presidenza del Consiglio prende atto della comunicazione della Cei e conferma quanto già anticipato in conferenza stampa dal presidente Conte. Già nei prossimi giorni si studierà un protocollo che consenta quanto prima la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche in condizioni di massima sicurezza”. E’ quanto si legge in una nota di palazzo Chigi in risposta alle critiche avanzate dalla Conferenza episcopale italiana sulle misure restrittive sulle messe.